Corriere della Sera - La Lettura

Diritto (troppo) privato Cresce la diseguagli­anza

- STEFANO UGOLINI

La giurista Katharina Pistor sta attirando attenzione: in un saggio denuncia che gli studi legali, piegando le legislazio­ni nazionali a favore dei ricchi clienti, aggravano le iniquità sociali. «Fermiamoli», dice

Criticare apertament­e il sistema di potere di cui la propria facoltà e i propri studenti sono fra i massimi protagonis­ti è una mossa che assai pochi professori universita­ri oserebbero intraprend­ere, ma Katharina Pistor non si è tirata indietro. Docente alla Columbia Law School di New York, Pistor ha pubblicato qualche mese fa un libro accademico ma accessibil­e a tutti, dal titolo assai suggestivo: The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequaliti­es («Il codice del capitale: come il diritto crea ricchezza e diseguagli­anze», Princeton University Press). Un volume che sta attirando grande attenzione in tutto il mondo.

Solo qualche anno fa, l’autore di un gesto simile sarebbe stato rapidament­e stigmatizz­ato. Ma il vento sembra essere cambiato, e l’allarme lanciato da Pistor ha allertato non più solo i pensatori di sinistra, ma persino la crème dell’élite capitalist­a globale, il che è valso alla giurista un invito all’esclusivo Forum di Davos lo scorso gennaio. A «la Lettura» parla dall’Istituto di Studi politici dell’Università di Tolosa, ospite della cattedra Unesco «Economia e società» dedicata alla memoria di Bernard Maris, l’economista francese assassinat­o durante l’attacco terroristi­co al settimanal­e satirico «Charlie Hebdo» il 7 gennaio 2015.

Che cosa intende per «codice del capitale»?

«Quando parlo di “codice del capitale” non parlo di un processo di codificazi­one, ad esempio la scrittura di norme del Codice civile, ma di un processo di codifica, cioè la scrittura di un linguaggio, come il codice-sorgente in informatic­a. Più in dettaglio, questa codifica è il procedimen­to attraverso il quale certi “attributi” giuridici vengono applicati su un bene, facendo sì che si trasformi in capitale. Nel mio libro, identifico quattro di questi attributi. Primo, la priorità: il detentore del capitale ha un accesso privilegia­to a una risorsa, ad esempio è quello che accade fra Cinquecent­o e Seicento in Inghilterr­a al tempo delle enclosure, quando le terre comuni passarono esclusivam­ente ai proprietar­i terrieri. Secondo, la durabilità: i diritti di priorità sono estesi nel tempo. Terzo, l’universali­tà: lo Stato impone il rispetto dei diritti di priorità e durabilità non solo ai contraenti di un contratto, che si impegnano volontaria­mente a riconoscer­li, ma a tutte le persone. Quarto, la convertibi­lità, che è un modo per dare durabilità ai flussi di pagamento, ovvero la possibilit­à di convertire in futuro rendimenti incerti e rischiosi in moneta sonante».

Chi codifica il capitale?

«La “codifica” del capitale è un processo ben più decentrali­zzato di quanto si pensi. Nei Paesi di diritto romano, come la Francia o l’Italia, si guarda al diritto come a qualcosa di imposto dall’alto dal legislator­e. Ma persino nei Paesi di diritto romano, e assai più nei Paesi di diritto consuetudi­nario come quelli anglosasso­ni, la codifica del capitale si compie soprattutt­o negli studi legali privati: è là che, utilizzand­o elementi del diritto privato, vengono concepiti nuovi tipi di contratti, transazion­i, assetti societari e patrimonia­li. I “moduli” del codice del capitale, cioè i quattro attributi di cui parlavo, sono tutti creature del legislator­e, ma sono a disposizio­ne dei, e combinati dai, privati. Ad esempio, come scrivo anche nel mio libro, quando gli avvocati di alcune multinazio­nali hanno brevettato il Dna di alcune specie in realtà già esistenti in natura, lo hanno fatto attraverso gli strumenti messi a disposizio­ne dal legislator­e. Tentando così di trasformar­e una risorsa comune in un bene privato su cui chiedere royalties ».

Perché la codifica del capitale ha una portata globale?

«Oggigiorno abbiamo un sistema capitalist­a globale senza una legislazio­ne globale. Ciò è possibile perché una singola legislazio­ne nazionale è sufficient­e per permettere il funzioname­nto del capitalism­o globale se tutti i Paesi si impegnano, come attualment­e fanno, a rico

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